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APPENDICE A DEIFIRA


Se a me fosse licito, valerosa ed accorta mia donna, palesemente cridare e piangere in questa mia crudele partita, siate certa che li stridi di Vulcano né di Cariddi, né li gridi della dolorosa Dido, foro mai sì grandi, che li mei non fossero molto maiori. Ma cognosco veramente, speranza dell’anima mia, la quale se notrica per voi ne lo amoroso foco, che ’l cridare e piangere è più presto da animo feminile che verile. Resta solo, unico mio bene, fra me stesso condolermi con grave pene, e lamentareme della iniqua e perfida fortuna e crudel mio destino che me ha condotto, non possendo scusarla. Ve supplico, regina del mio cuore, che non ve adirate de questa mia partita, ma pregate Dio che me riduca alla vostra grazia, ché senza la quale al mondo non voria stare.


    Fà che non manchi l’amorosa voglia,
         el ben voler, el desiderio antico;
         considra quel ch’io dico,
         ninfa mia bella e pace del mio cuore;

    abbi mercé al mïo gran dolore.
         Vidi fortuna a quel che m’ha condutto.
         Qual serà mio redutto,
         se non la morte agli aspri martiri?

    Pöi che mi convien⟨e⟩ pur partire,
         superna Diana, stella de orïente,
         fà che ’l caro servente
         abbi nel petto con devoto cuore.