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libro primo 73

delle mani della fortuna quello quale io dava a’ miei amici; dell’altre ricchezze e fortune mie poterne richiedere nulla più che si volesse e permettesse la fortuna, ma di quelle quali giovorono a’ miei amici essermi licito richiederne da chi le ricevette grata memoria e benivolenza. Non la perfidia degli uomini, non la iniquità della fortuna, non gli incendi, naufragi, ruine, potranno a me rapire tanta mia ricchezza quale io non tema perdere. E così ancora intesi quelle ricchezze non valere a felicità, per quali si viva sollicito ad acquistarle e timido in dubbio di non le perdere; in qual cosa certo io me propongo a te, o Tichipedo. Io per uso ed età conosco le fallacie e simulazioni degli uomini tanto meglio che tu, quanto appare che tu ancora non distingui di tanta tua moltitudine di salutatori chi a te sia vero e chi finto amico. Né credere che persona si possa ben giugnere ad amicizia se non merita essere amato per cosa stabile e quale niuno avverso gli possa torlo. Né stimare potere richiedere grata memoria da persona quale sia a se stessa ingrata, non adoperando lo ’ngegno e la industria sua in acquistarsi quanto e’ debba lode e fama con vertù e studio di cose lodate e degne. E quando a te fussero copia di ricchezze maggiore che a Crasso, e nutrissi a tutela della patria tua uno e più esserciti, quando e tu ancora ricco simile a quel C. Cecilio Claudio romano, quale a tempo di Gallo Asinio e Marco Cirinno consoli morendo, benché perdesse assai in la battaglia civile, testò servi quattro milia cento e sedici, gioghi di buoi trecento e sessanta, altri armenti cinquanta e sei migliara, in danari anoverati oro pesi secento milia; e più a ciascuno tuo amico avessi da distribuire sesterzi undici milia quanti Caio Cecilio ordinò si spendesse in la sua sepoltura, non però sarebbe presso di me da più pregiare la tua fortuna che la mia parsimonia: sorella della povertà la parsimonia, come delle ricchezze sempre fu compagna la prodigalità. Più fu ornamento alla sua patria Fabrizio, e Curio e altri simili parcissimi e modestissimi, quali spregiarono tanto oro per signoreggiare chi possedeva oro, e contenti cenarsi sotto suoi tuguri rape e cauli apparecchiate in mensa con vasi di terra, ornorono la patria sua non meno di vittorie che di buono essemplo a vivere con modestia e senza prodigalità. Più certo giovorono