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libro primo 63

glior fortuna. Io dalla patria mia e dai miei altro nulla porto che ingiuria, sdegno e dolore, e quello che più m’adolora è la carissima madre mia rimasta sola a piangere el mio infortunio e a soffrire di dì in dì infinite miserie». Partissi. Di poi intesi vivea in servitù preso da inimici della nostra patria. Piansi.

Teogenio. Intesi più dì fa la avversità di Tichipedo, ma parsemi utile così domandartene per redurti a memoria quanto a’ tuoi dì vedesti essemplo ottimo e degnissimo onde tu discerna la volubilità e mutabilità della fortuna, e insieme statuisca non te essere, quanto testé dicevi, uno sopra gli altri mortali misero e infelicissimo; se già non intervenisse, come dicono, ch’e’ nostri mali veduti da presso più che gli altrui a noi paiono maggiori: qual cosa ancora si confermerebbe per quanto io recitai che simili mali cresceno in noi e scemano quanto la nostra oppinione gli stima.

Ma torniamo al primo nostro ragionamento. Qui presso a questo fonte Genipatro e io, come sempre fu nostra consuetudine trovarci spesso insieme, leggiavamo. Ecco Tichipedo con suoi cani e moltitudine di levissimi e vilissimi uomini cacciando le fere sopragiunse; giovane in que’ tempi per troppa sua seconda e prospera fortuna elato, insolente, ostentava le gemme, luceali indosso la seta, le perle e le pitture fatte ad ago, e arrogante agitandosi in molti modi mostrava in sé levità e odiosa alterezza. Cominciò a molto lodare questo luogo, e giurò mancarli a somma felicità altro nulla che questo fonte, e certo pur troppo desiderarlo presso alla sua ornatissima villa. A cui Genipatro, omo prudentissimo, con suoi gesti modestissimi e pieni di maravigliosa umanità disse: «Tu, o Tichipedo, non vedesti tutte le delizie di Teogenio molto più che questo fonte amenissime e da volerle. Ma se altro a te non manca, io sempre ebbi tanta autorità in le cose di Teogenio ch’io in questo posso satisfarti: concedoti ne lo porti teco questo fonte; ponlo ove a te piace». Rispuose Tichipedo: «Senza tuo danno saresti meco liberale donando a me quello ch’io non posso accettare». Questo adunque disse Genipatro: «Ti giovi la nostra liberalità che tu conosca te tanto essere non felice quanto in te seggia desiderio di cose alcune a te non possi-