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miamo cose non poche gravi essere e moleste quali certo sono levissime e facillime. E a potere questo m’occorreno infinite sentenze, bellissimi detti da’ savi antiqui filosofi e ottimi poeti, cose ritrassinate quasi da tutti li scrittori, tale ch’io non so donde incominciare. Ma piacemi in prima investighiamo le cose estrinseche e proprie della fortuna, quale stimo certo comprenderemo ch’elle sono e buone in sé e non buone quanto noi a noi le riceveremo ed estimeremo. E insieme vederemo le cose aggiunte a noi non però molto avere in buona o in mala parte forza. Ultimo, non dubito a noi rimarrà persuaso solo in noi essere qualunque cosa vero sia o buona o non buona, e pertanto niuno potere cosa alcuna di male ricevere da altri che da sé stessi. E per asseguire questo con qualche iocundità quanto instituimo, mi pare da recitarti la disputazione ebbe a questo proposito Genipatro, quel vecchio qua su, quale in queste selve disopra vive filosofando, omo per età ben vivuta, per uso di molte varie cose utilissime al vivere, per cognizion di molte lettere e ottime arti prudentissimo e sapientissimo; ché mi stimo le sue parole presso di te, amatore de’ dotti e studiosi, aranno autorità, e diletteratti la nostra istoria certo degna d’essere conosciuta. E come furono suoi argomenti e ammonimenti a me sì grati e sì utilissimi che in ogni vita mia tutta ora più li sento da molto pregiarli e comendarli, così certo qui saranno attissimi e convenientissimi a sollevarti da questa conceputa tristezza tua e mala valitudine. Ma prima dimmi, el nostro Tichipedo vive egli quale e’ solea lieto, e quanto esso se riputava beato?

Microtiro. O infelicissimo Tichipedo! E tu, Teogenio, non udisti il suo infortunio? Morì el padre in essilio, proscritto e fugato da que’ suoi inimici quali con arme occuparono la amministrazione delle cose publiche, confiscato e predato le sue fortune; el suo figliuolo notando affogò; la moglie e pel dolore del figliuolo perduto e per altra mala sua valitudine in parto abortivo e difficile mancò; el fratello, uomo temerario e precipitoso, per false insimulazioni e relazioni da occulti loro inimici tratto in iudizio, sé stessi in carcere strangolò. Per qual calamità Tichipedo provide alla sua salute, e fuggendo a sé simile già apparecchiato infortunio me abbracciò e disse lacrimando: «O Microtiro, Dio a te dia mi-