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naufragio 355

Pur con parole rattenea quel bestiale da tanta crudelità. Ma quel barbaro già già fiameggiava rabbia con gli occhi e gridava: «Occidianla». Io col tempo subito consigliato, gittai ogni resto di que’ ferramenti ch’ivi restavano, acciò che quel mostro non potesse quanto e’ cercava. Eimè! E chi referirà te, o misera fanciulla, quale avevi ogni tua salute posta solo in lacrime e preghiere? O pietà, che non solo a me qual sono pietosissimo, ma e ancora a quel barbaro vidi movesti le lacrime! Io adunque, volto alla fanciulla, dissi pigliasse buono animo, non bisognar quivi lacrime ma virtù; adonque stesse meco in piè e non giacesse in quel dolore, che se bisogno accadesse, potessimo due con fermo petto ossisterli, che sarei col favore di Dio galiardo combattitore contro tanta immanità, e a Dio esser comendata la nostra piatà.

5.     All’ultimo, ove quella bestia non restava, io irato: «O sceleratissimo», dissi, «non cesserai tu da tanta iniuria contro a questa misera fanciulletta, qual piange, prega, qual è stata e ora è con noi in tanta mala sorte doppo tanti casi? Tu omo, tu vorrai farti pasto un corpo umano, tu pascerti delle membre vive? Ramentiti tu esser o no omo? Qual tigre sarà mai simile a te? Qual animale affamato, voracissimo non perdona a simili a sé? Tu fai questa tua fame maggiore non ben sopportandola. Témperati, ché certo meglio la porterai, e gioveratti sperare meglio. Né per certo siamo dalli dii servati da tanti mali a questa crudelità, ma per loro pietà a salute siamo e a testificare la loro benignità servati; ché se così non fusse, terzo fa dì con gli altri saremmo periti. Ora se saremo piatosi, questa speranza quale li dii piatosi