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uxoria 317

in casa, voi parte vi maravigliavate della sofferenza mia, parte vi movea compassione el tanto mio, quanto io per lei sofferiva, tedio. Lascio adrieto le parole immoderate, e’ rimbrotti assidui, e’ richiami infiniti, co’ quali vedesti ella sempre mi si porgea e opponea dura e acerba, che furono tali e tanti che sarebbe prolisso e odioso recitarli; né voglio sia mio instituto biasimare altri per accumularmi laude. Tanto affermo, con mia equabilità e continenza di me stesso e modo la rendetti, qual voi poi la vedesti e maravigliastivi, trattabile, facile, mansueta, sofferendo da lei ogni sue simili femminili inezie, quali pochi vogliono, rarissimi sanno sofferire. Ma quello in che si truova niuno sì maturo e ben consigliato che non subito inacerbisca precipitoso ad ira e furore, fu dove io dimostrai quanto in me fussi prudente consiglio, iusta ragione, virile fermezza e modesto instituto. Non mi periterò adurre qui in mezzo qualunche cosa onde voi chiaro e aperto scorgiate ogni mia ragione di vivere e studio di virtù. E se cosa niuna sarà sì brutta che detta in luogo e tempo non sia onesto udirla, e quando el mio recitare i costumi altrui, quasi come materia in quale io me essercitai, fia tale che nulla porga molestia a chi ora sia fuori di vita e libero d’ogni infamia, e nulla torni in gravezza a chi fu sempre in questo fuori di colpa, certo sarà da non essere recusato udirmi.


9.     «Dico, padri, che conoscendo io in la donna che fu mia, studio men di servarsi buono nome che di satisfare a sue nel nostro matrimonio non iuste voglie e desideri, più giorni meco mi consigliai. Né, cercando evitare quello che tenuto occulto nulla si stima, e palesato molto nuoce, a me parea con altri che meco