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libro terzo 171

lacrima, e sfoghi qualche intimo sospiro, ponvi modo. Numa re de’ Romani, omo religiosissimo e piissimo, vetò ch’e’ morti si piangessero più mesi a numero che fussero gli anni quali que’ morti erano stati in vita; né volse ch’e’ fanciugli da anni tre in giù punto si piangessero. Il Senato di Roma, ricevuta la clade apud Cannas gravissima e da viverne tutta quella età adolorati, comandò si sedasse ogni lutto in Roma, né più si protraessero e’ pianti loro che sino al trigesimo dì. Cesare dittatore el terzo dì impose fine a ogni lutto domestico e pubblico con qual si degnasse e onestasse le essequie della sua morta figliuola. Così e noi, quanto potremo subito, porremo fine a queste inutilissime inezie.

Né pero tanto mi fastidia questa levità femminile del piangere e scalfirsi le guance e pelarsi el capo, quanto mi pare da odiare e fuggire quella insania di molti quali per loro concette maninconie sviano el sonno, interlassano el cibo, perdono se stessi, fuggono e vedere ed essere veduti dagli altri uomini, e in sua solitudine e umbra stanno stupidi e quasi stolidi, dolgonsi e predicano essere sé sopra tutti e’ mortali miseri e infelicissimi; né però restano aggiugnere a sé stessi continua infelicità e miseria mentre che così si crucciano e tormentano con sue triste memorie e conceputi dispetti e dispiaceri.

Ma noi siamo e imprudentissimi ove male conosciamo lo stato nostro. Se, come dicea Socrates, tutti accumulassimo in un sieme e’ nostri mali, a ciascuno parrebbe men peso riportarsi que’ suoi antichi incarchi quali e’ portò quivi, che di nuovo entrare sotto a questo inusitato peso e molestia quale a lui converrebbe se tutta la summa de’ mali universi de’ mortali si distribuisse per sorte equale a tutti. E quanto sarebbe somma più abile quella di Priamo, di cui si cantano que’ versi troppo teneri e molto veementi ad eccitarci a compassione de’ mali altrui, e a contenerci e ritrarci da ogni nostro inconsulto discurso in nostri effetti e immoderata voluntà:

Haec finis Priami fatorum; hic exitus illum
sorte tulit, Troiam incensam et prolapsa videntem
Pergama, tot quondam populis terrisque superbum
regnatorem Asiae...