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libro terzo 167

vive? E che officio di prudenza sarà la tua non riconoscerti uomo? E che modestia sarà la tua non por, quando che sia, fine e termine alle tue querele? E che lode d’animo grande e fermo sarà la tua, se tu nato a imperare e regger gli altri, non saprai moderare te stessi? E se in cose alcune bisogna moderazione e ragione e virtù, certo bisogna contro al dolore. Oreste per dolore divenne furioso. Cleobolo filofoso, estinto da sue grave maninconie, uscì di vita. Eccuba fingono che per acerbissimi morsi de’ suoi dolori diventò cane e arrabbiò. Niobe fingono che addolatara si convertì in sasso. Adunque se pel dolore si diventa e furioso uomo e arrabbiata bestia e insensato sasso, qual sarà che non curi con ogni sua opera e forza lunge propulsare da sé questo dolersi? Ma tu, Niccola, in ogni mia argumentazione vedi tu come io a te nulla vieto che tu non sia in tue opinioni e volontà uomo sì, ma proibisco non diventi efferato e immanissimo. E tu pur quivi t’affolti, e come la coturnice rinchiusa nella gabbia pur vorrebbe uscire per quel poco che a lei pare non bene intero, tu così quinci forse vorresti uscire in maggior disputazione ed estenderti in più lati campi d’argumentare contro a’ detti miei. Oh! egli è cosa molesta e veemente el dolore, e vince: egli è cosa difficile e dura el non sentire e non cedere a’ mali suoi. Eschilo poeta tragico, quando egli adduce uno e uno altro degli dii venuti a consolare Prometeo relegato e alligato a quel sasso al Caucaso, non diceano: O Prometeo, non curare e’ tuoi mali e non gli sentire; ma diceano: Quello che a te è imposto dal summo Iove, quello che tu non puoi recusare, quello che a te è necessità soffrire, soffrilo con quanto men puoi agitare e infuriare te stessi. E Prometeo pur si lagnava con parole immoderate, e dicea: Io pur feci ch’e’ mortali mai più morranno. Io imposi loro molta speranza e molto cieca; e insieme aggiunsi quel vivo e celeste ardore. E qui l’Occeano, massimo degli dii, li rispondea: «Tu, o Prometeo, lascia questo tuo fasto ed elazione antiqua. Usurpa testé nuovi costumi quando el cielo serve a nuovi tiranni, e al tutto modera a questa tua lingua e procacità. L’ira di chi può tanto in te quanto tu pruovi, si sederà colla tua summissione molto più che coll’alterezza. L’ira che ti incuoce si spegne e medica colle umili parole; e gioveratti non raro