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libro primo 131

impari vincere te stessi. Le dure condizioni de’ tempi sono materia ad informarci a virtù. Tigranes, nipote del re Archelou, perché più tempo visse stadico in Roma, dimenticò el fastu e superbia regia e divenne paziente quasi fino a essere servile. Udisti da chi t’odia un morso di parole. Vedesti quello insolente onteggiarti. Tu, delibera sofferirlo, almeno simular d’essere sofferente. E interverratti come fra gli amici, che servendo ad altri obbliga lui, contro, a pari servire sé. Così tu usandoti gratificare alla virtù, ella ti si darà pronta a mai abbandonarti; e interverracci che simulando diventerremo quali vorremo parere. Ottima simulazione sarà qui fare quello che fa chi non si perturba né si commuove. A Plutarco parea che con moderare la lingua si spenga l’ira; e in ogni vita sarà utilissimo el moderarla. Dicea Platone che gli dii rendeano in premio delle parole inconsiderate e lievi, pena gravissima. Scauro non volle che ’l servo dello inimico suo gli referissi e’ malefici del patrone suo. Filippo re de’ Macedoni, escluso la notte dalla moglie, tacque. M. Babio rimise salvi e liberi a Cleopatra que’ duo militi Gabbiani che gli aveano ucciso el figliuolo. Così fa chi sia bene consigliato e ben offirmato e constante: modera e comprime quelle cose per donde s’accenda l’ira e le perturbazioni, e più gode e mostra non satisfarsi crucciato ove e potea saziarsi.

Né sia chi stimi non essercitandosi abituare in sé virtute alcuna. Non scrivendo, non pingendo, mai diventeresti pittore o scrittore. E scrivendo non bene s’impara scriver bene, pur che facendo curi fuggir quello che in te facea scriverti non bene. E per adattarci a virtù intrapreenderemo qualche essercizio virtuoso, in quale occupati ne esserciteremo assiduo pensando, investigando, adunando, componendo e commentando, e accomandando alla posterità nostra fatica e vigilie. E così ne distorremo e separaremo da ogni contagione e macula del vizio, e viveremo lieti e contenti. Oh dolce cosa quella gloria quale acquistiamo con nostra fatica! Degne fatiche le nostre per quale possiamo a que’ che non sono in vita con noi mostrare d’esser vivuti con altro indizio che colla età, e a quelli che verranno lasciargli di nostra vita altra cognizione e nome che solo un sasso a nostra sepoltura inscritto