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NOTA SULLA GRAFIA



Il caso particolare dell’Alberti umanista e scrittore in volgare ci ha fatto esitare a lungo davanti al problema della grafia di questi testi. Tutti sanno ormai qual era il suo atteggiamento verso l’uso del volgare, che per la sua utilità riteneva degno di essere adoperato dai dotti non meno del latino. Egli stesso ne dava la dimostrazione colle sue opere, sforzandosi, come è evidente nella sintassi e nel lessico della sua prosa, di nobilitare il suo stile e la sua espressione sul modello del latino1. Questa sua prosa umanistica volgare, che deve moltissimo al latino e poco o nulla alla tradizione dei grandi scrittori toscani, che l’Alberti non nomina mai, rappresenta già in atto la nota posizione landiniana espressa per es. nella formula pronunciata nel 1460, ed è a metà del ’400 la più chiara manifestazione della voluta interferenza tra latino e volgare2. Per chi pensava e scriveva in questo modo, l’ortografia non doveva essere cosa di poca importanza (com’è del resto chiaramente documentato da quello che l’Alberti stesso ne scrive nel De Cifris)3, e doveva parergli, come l’espressione stessa, tanto più

  1. Cfr. V. Cian, Contro il volgare, nella Miscellanea Rajna, Milano, 1911, pp. 251-99; P. Rajna, Le origini del certame coronario, nella Miscellanea Renier, Torino, 1912, pp. 1027-56. Per la lingua e lo stile dell’A., vedi il bel saggio di R. Spongano, La prosa letteraria del Quattrocento, premesso alla ed. della Famiglia fatta dal Pellegrini e da lui riveduta, Firenze, 1946. V. anche sopra a p. 379, n. 4.
  2. Vedi l’Orazione fatta per Cristoforo Landino... quando cominciò a leggere in Studio i sonetti di M. Fr. Petrarca, ed. da F. Corrazzini nella sua Misc., di cose inedite o rare, Firenze, 1885, pp. 125-34; e cfr. M. Santoro, C. Landino e il volgare, nel «G.S.L.I.», CXXXI, 1954, pp. 501 sgg.
  3. Vedi De componendis cifris pubbl. da A. Meister, Die Geheimschrift im dienste der Papstlichen Kurie, Paderborn, 1906, p. 127; e cfr. B. Migliorini, «Lingua Nostra», XI, 1950, p. 77.