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318 i libri della famiglia

non ruinerà a noi in inimicizia e in premerci di maggiore alcuno incommodo. E vidi io chi così repente e subito escluso, tanto si riputò offeso, che nulla gli parse non licito a vendicarsi.

Lionardo. Ragione vòle che non senza grande vizio sì subito odio nasca, ch’io serri l’uscio testé a chi poco fa era libero addito a me perfino ai più segreti luoghi. Ma e alcuni ancora tanto sono di natura lievi a indegnarsi, e maligni in serbare l’onte, che per ogni minima offesa ti si oppongono capitali inimici, de’ quali merito si dice che picciola onta volge un leggier fronte.

Adovardo. Vero, e adunque, quanto così gli conosceremo importuni, tanto con più modo e prudenza gli tratteremo, e quando pur ci volessero inimici. Non però vitupero chi con animo virile più tosto voglia lungi da sé tenere uno insolente, che presso di sé soffrirlo vizioso e quasi nutrire a sé stessi infamia.

Lionardo. Non posso non approvar ogni tua ragione, benché forse troverrei non pochi quali più tosto vorranno soffrire un temulento, dicace ottrettatore, perfido, fallace, che volerlo altrove publico suo diffamatore. E dicono non meno essere da non tenere una fera legata e pasciuta in casa, che lasciarla ire affamata per teatri; in qual sentenza scrivono fu Filippo macedon padre d’Allessandro, el quale da’ suoi amici confortato mandasse da sé un de’ suoi sparlatore e maledico, negò esser el meglio così darli cagione di scorrer maldicendo dove e’ non fusse conosciuto.

Adovardo. Non credo uomo alcuno integro di costumi e d’animo erto, tanto stimi la vanità di chi si sia ch’e’ vogli monstrarsi o troppo timido o non più cupido d’essere che di parere buono, ché sai chi sia d’animo generoso, prima vorrà essere che ostentarsi virtuoso. E chi sarà virtuoso dubiterà, credo, nulla che le sue lode sieno sì oscure e sì deboli che le parole d’uno iniquo le ottenebri o rompa. Solo e’ viziosi temono, quanto tu di’, la lingua di chi e’ credono sappi e ardisca palesare e’ vizii suoi.