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libro quarto 315

fermano che chi vero sia amico, costui perdonerà né a roba, né a fatica, né a sé stessi per benificare chi egli ami.

Lionardo. Que’ gravi adunque incommodi da deporli, quali seranno?

Adovardo. Parrà grave perder la roba per benificare l’amico?

Lionardo. A molti.

Adovardo. Parrà grave el dolore, la miseria per mantenere l’amico lieto e contento?

Lionardo. Certo, e a molti.

Adovardo. Parrà grave travagliarsi in ultimo pericolo della vita sua per salvare l’amico?

Lionardo. E quanto gravissimo!

Adovardo. E quanti si troverranno molto travagliarsi in mare in mezzo alle tempestati, e in terra fra l’arme ad ultimi pericoli per accumularsi roba?

Lionardo. Assai.

Adovardo. Non so degli altri, ma io certo per acquistar lode esporrei molte ricchezze.

Lionardo. E noi, stima, siamo nel numero de’ simili a te cupidissimi di meritar lode.

Adovardo. Che credi tu degli altri?

Lionardo. Credo quasi si troverrà niuno non in tutto incivile, el quale per aversi onorato e lodato non molto fusse prodigo.

Adovardo. Se così stimiamo, diremo che per conservare lode e fama di noi, ancora non molto cureremo le ricchezze.

Lionardo. Certo sì.

Adovardo. E riputaremo ogn’altra cosa minor che la infamia.

Lionardo. Persuadesi.

Adovardo. Grave adunque stimeremo l’infamia.

Lionardo. Siamo in cotesta sentenza.

Adovardo. E per non cadere in infamia, faremo simile a quello testé narravi. Preoccuperemo ogni addito, statuendo ivi come alla guardia, prudenza e onestà.