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libro quarto 313

quasi deposto appresso di te dalla santissima benivolenza, in tempo alcuno sia non molto per te osservato e occulto; però che quella fede e que’ secreti furono di quella a te cara amicizia, la quale testé più non è tra voi. Puossi sperare ritornerà; e darvi opera sarà utile e lodo; e mai non tornando, tanto simile biasimerò chi sia qui perfido nocendo allo antico amico, quanto chi altrove, per noiare a uno inimico, fusse inimico a chi l’amasse. Gobria assirio presso Senofonte, narrando a Ciro re de’ Persi che cagion sé tenesse fuori della sua patria, espose non potere soffrire in regno chi gli avea ucciso el suo carissimo figliuolo; poter sì, ma non volere esserli in altro grave, sendo amicissimo stato del padre. Cicerone molto accusava in senatu M. Antonio che contro ogni officio di civilità, ora inimico avesse monstro lettere familiari a sé da Cicerone scritte, né convenirsi, ricevuto alcuna offensione, divulgare e’ passati colloquii di chi t’era amico. Pertanto que’ che dicono molte cose doversi alla antica amicizia, a me può parere vogliano affermare siano quelle alla onestà e alla dolce passata benivolenza dovute. Qual cose, da me forse troppo breve e pertanto forse dette oscure, se così vi si persuadono, Lionardo, aremo a vedere quale a noi e donde resti licenza a privare, o diminuire alla sino testé lieta amicizia e dolce e gratissimo uso amatorio.

Lionardo. E chi desiderasse qui persuasione maggiore a quanto uomo niuno civile dubita, che la benivolenza iunta alla onestà sia da riputarla fra le cose ottime e religiose? E chi non, come tu di’, alla antica e quasi spenta ora amicizia renderà suo officio, se ancora verso e’ medesimi inimici dicono essere debito a noi serbare fede e ogni officio di onestà? E chi negasse che rompere la fede tanto più nuoce a chi così iace in vizio, che a chi per altrui perfidia cadesse in calamità, quanto e’ provano che ’l vizio più sia dannoso in chi e’ viva, che la povertà e qual vuoi dolore? Ma forse era quivi luogo non inetto ad esplicare quali incommodi e qual gravezze appresso de’ buoni fussero quelle, onde a noi fusse prestata licenza a così discindere l’amicizia; che, se così