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libro quarto 275

cielo tanto a cura, e parerli morte gloriosa questa, ove doppo a sé poi viva diuturna fama; ché quelle intelligenze celeste così per sé esposero raro e maraviglioso segno e indizio, onde manifesto ciascuno compreenda che que’ lasuso divini animi immortali di sua vita e morte stati erano curiosi. Ma pur credo per questo tenea qualche ad altri poco manifesta, ma dentro in sé non piccola agitazion d’animo, quale io bello gli stolsi, come accadde che i nostri di Rodi prestissimo me avisorono in que’ dì Temir Scita, principe vittoriosissimo, duttore d’uomini in arme numero più che trecento mila, conditore di quella amplissima città ivi chiamata Ezitercani, era uscito di vita. Onde el Duca, come io m’avidi, facile stimò indi fusse al pronostico del cielo pel caso di tanto principe satisfatto. Con simili adunque novelle raro ch’io non avessi ottimo e quanto domandava prestissimo introito al prencipe, qual cosa m’acrescea buona grazia e manteneami benivolenza.

Morto el Duca, mi trasferetti a Ladislao re de’ Napolitani, omo ch’era di natura, più alquanto che aperto di costumi, vita ed eloquenza, più atto all’imperio d’arme che alla gravità e maturità de’ consigli. E costui giuns’io a farmegli noto e amico senza altro alcuno che me solo interpetre. Così avea fra me deliberato, così mi fu luogo e occasione troppo atta concessa. Era Ladislao in quel dì uscito a caccia, quando il trovai disceso seguendo le fiere arditissimo, solo, in luogo ond’e’ né facile fuggire, né senza pericolo sostenere potea l’impeto di quello orso grandissimo quale verso di lui irato ivi sé stessi concitava. Ond’e’, poiché solo avea non altro che dardi due sardi in mano, improviso assalito, stupido che in un tratto poco gli era luogo coll’animo vacare a consigliarsi e discernere qual meglio in quell’ora fusse o cedere alla bestia o contrastare, timido stette; ché ben volendo, non in quel loco assai valea fidarsi di sue armi e virtù, e per questo in qual parte si volgesse non avea. Io con due quali presso meco avea ottimi e ubidentissimi cani acorsi, e con parole eccitai il Re a men temere. Era de’ cani uno leggiere, destro, animoso a perturbare ogni impeto della