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libro terzo 251

tante sciagure, sotto tanti pericoli il ponesti, che, se altri vi credesse mai, nonché esserne massaio, ma e’ no’ gli vorrebbe vedere. E benché io vegga ne dite in molta parte el vero, pure stimo nel danaio esservi alcune altre commodità. Pare a me non fate stima in una piccola borsetta trovarvi pane, vino, e tutte le vittoaglie, veste, cavalli, e ogni cosa utile portarsi in seno. Ma chi negasse il danaio non essere ancora utile in prestallo agli amici quanto diciavate, e in traficarlo?

Giannozzo. Non dissi io che tu, Adovardo, tendevi qualche insidie? Ma vinca meco questo costume di voi altri litterati, né sia cosa alcuna sì bene detta quale voi non sappiate monstrare essere male detta; né io sarei sufficiente volella con voi vincere.

Adovardo. Certo non ad altro fine ve ne domando, se non per imparare da voi quanto per maturissima prudenza in questo come nell’altre cose conoscete.

Lionardo. Del trafficare i danari risponderò io quanto compresi da Giannozzo. In ogni compera e vendita siavi simplicità, verità, fede e integrità tanto con lo strano quanto con l’amico, con tutti chiaro e netto.

Adovardo. Ottimo. Ma del prestargli, Giannozzo, se qualche signore, come tutto dì accade, vi richiedesse?

Giannozzo. Dare’gli più tosto in dono venti che in presto cento, e per non fare né l’uno né l’altro, Adovardo mio, ché tutti gli fuggirei.

Adovardo. Che te ne pare, Lionardo?

Lionardo. E io ancora il simile. Eleggerei perdere venti acquistandomi grazia, che arischiarne cento senza essere certo di riaverne grado.

Giannozzo. Taci. Non dire. Non sia chi speri mai da’ signori né grado né grazia. Tanto ama il signore, tanto ti pregia, quanto tu gli se’ utile. Non ama il signore per tua alcuna virtù, né si possono le virtù fare note a’ signori. Sempre più sono e’ viziosi, ostentatori, assentatori e maligni in casa de’ signori ch’e’ buoni. E se tu consideri, quasi la maggiore parte di quelli stanno ivi perdendo tempo oziosi, che