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libro terzo 203


Giannozzo. Vedi tu, sì, bene, a ciascuno secondo se gli richiedesse.

Lionardo. E a quelli i quali si riducessono con voi in casa, donaresti voi il vestire quasi in premio?

Giannozzo. Sarei sì bene con questi ancora liberale, ove io gli vedessi amorevoli e diligenti verso di me e verso de’ miei.

Lionardo. Per premiarli, stimo, così faresti.

Giannozzo. E anche per incitare gli altri e meritare da me quanto quelli buoni avessino ricevuto. Niuna cosa sarà tanto molto atta e utile a rendere bene modesta, costumata e officiosa tutta la famiglia, quanto onorando e premiando e’ buoni, però che le virtù lodate crescono negli animi de’ buoni, e nelle menti de’ non così buoni incendono gli altrui premii e lode voluntà di meritare con simili opere e virtù.

Lionardo. Piacemi, e dite bellissimo. Così certo confesso essere. Ma a vestire la famiglia onde soppliresti voi? Venderesti voi e’ frutti della possessione?

Giannozzo. Se quelli m’avanzassino, perché non mi dovessi io farne danari, e in altro spenderli quando bisognasse? Sempre fu utile al padre della famiglia più essere vendereccio che compraiuolo. Ma sappi che alla famiglia tutto l’anno accaggiono minute spese per masserizie e aconcimi e manifatture; e così non raro ti sopravengono dell’altre maggiori spese, delle quali tutte quasi le prime sono il vestire. Cresce la gioventù, apparecchiansi le nozze, anoveransi le dote, e chi a tutte volesse colla sola possessione satisfarvi, credo io, non li basterebbe. Però farei d’avere qualche essercizio civile utile alla famiglia, commodo a me, atto a me e a’ miei, e con questo essercizio guadagnando di dì in dì quanto bisognasse sopplirei; quello che avanzasse mi serberei per quando accadessino maggiori spese: o servirne la patria, o aiutarne l’amico, o donarne al parente, o simili, quali tutto il dì possono intervenire, spese non piccole, non da nolle fare, sì perché sono dovute, sì perché sono piatose, sì anche perché acquistano amistà, nome e lodo. E a me molto piacerebbe a