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libro terzo 187

ligenza la serbo, e così insegno a’ miei serballo sino al tempo suo, e allora l’adopero.

Lionardo. Prendete voi delle cose quanto pensate vi bisogni, e non più?

Giannozzo. Pur qualche cosa più, se se ne versasse, guastasse, perdesse, che non manchi al bisogno.

Lionardo. E se ne avanzasse?

Giannozzo. Penso quale sia il meglio, o acquistarne e servirne uno amico, o vero se pur bisognasse per noi serballa, ché mai alla famiglia mia volsi minima cosa alcuna mancasse. Sempre mi piacque avere in casa tutte le cose comode e necessarie al bisogno della famiglia.

Lionardo. E che trovate voi, Giannozzo, bisognare a una famiglia?

Giannozzo. Molte cose, Lionardo mio: buona fortuna, e simile quale non possono gli uomini.

Lionardo. Ma quelle quali possono gli uomini, quali sono?

Giannozzo. Sono avere la casa ove si riduca insieme la tua brigata, avere da pascerli, poterli vestire.

Lionardo. E farli virtuosi e costumati?

Giannozzo. Anzi niuna cosa tanto mi pare alle famiglie quanto questa una necessaria, fare la gioventù sua costumatissima e virtuosissima. Ma non accade al proposito della masserizia qui dire della disciplina in allevare e’ figliuoli.

Lionardo. E in quelle adunque come fate voi?

Giannozzo. Dissiti io testé in queste nostre avverse fortune a me non è licito essere vero massaio.

Lionardo. Dicesti sì; ma pur quanto io veggio voi avete gran famiglia, e voleteli tutti essere simili a voi onesti e modesti, e così vivete civile e splendido in casa. Adunque in queste cose che ordine tenete voi?

Giannozzo. Secondo il tempo e le avversità quanto più posso migliore.

Lionardo. Ma, per avere da voi compiuto ammaestramento, ponete caso essere in questa età mia, avere moglie e figliuoli, essere prudente, essercitato come vi sete, e al tutto