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158 i libri della famiglia


Giannozzo. Ah, carità!

Lionardo. Poi si lasciorono l’uno l’altro. Ricciardo si sforzava molto non parere piangioso. Lorenzo, doppo un poco, le prime sue parole furono queste: «Fratello mio, Battista costì e Carlo ormai saranno tuoi». Non fu tra noi chi più potesse tenere le lacrime.

Giannozzo. O pietà! E Ricciardo?

Lionardo. Pensatelo voi.

Giannozzo. O fortuna nostra! Ma come si sente Ricciardo?

Lionardo. Pur bene di quello ch’io veggia.

Giannozzo. Io venia per vederlo.

Lionardo. Credo io lui testé si posa.

Giannozzo. Non suole Ricciardo così essere pigro e sonnolento. Mai mi sta in mente vidi uomo più che Ricciardo desto e sempre adoperarsi.

Lionardo. Non vi maravigliate, Giannozzo, se Ricciardo soprastà alquanto ricreandosi. Stanotte molto si riposò tardi, rotto pel camminare, e forse coll’animo da molti pensieri stracco e convinto.

Giannozzo. Troppo bene a noi vecchiacciuoli ogni piccolo travaglio nuoce. Questo pruovo io testé in me. Stamani in su la prima aurora per servire allo onore e utile d’uno mio amico io sali’ in Palagio. Non fu tempo ivi a quello ch’io volea; vennine qua ratto. Se in questo mezzo salutassi Ricciardo, potrei ire al tempio a vedere il sacrificio e adorare Iddio, poi tornerei a fare quanto allo amico mio bisognasse. Ora qui a me pare essere tutto rotto, tutto sono lasso. Per certo questi dì serotini fanno a noi il contrario che agli arbori. Sogliono e’ dì serotini alleggerire, spogliare e diffrondare gli alberi. Vero a noi vecchietti e’ dì serotini nella età nostra ci caricano e veston di molta ombra e affanno. E così, figliuoli miei, chi più ci vive più ci piange in questo mondo. Quello mio amico, anche lui si sente carico d’anni e di povertà, e se io non traprendessi parte de’ suoi incarichi, sallo Iddio in quanta miseria giacerebbe.

Lionardo. Adunque non sanza cagione da’ nostri e dagli