Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/162

156 i libri della famiglia

molto con suo studio e vigilie essere elimata e polita. E se io non fuggo essere come inteso così giudicato da tutti e’ nostri cittadini, piaccia quando che sia a chi mi biasima o deponer l’invidia o pigliar più utile materia in qual sé demonstrino eloquenti. Usino quando che sia la perizia sua in altro che in vituperare chi non marcisce in ozio. Io non aspetto d’essere commendato se non della volontà qual me muove a quanto in me sia ingegno, opera e industria porgermi utile a’ nostri Alberti; e parmi più utile così scrivendo essercitarmi, che tacendo fuggire el giudicio de’ detrattori.

Però, Francesco mio, come vedesti di sopra, scrissi duo libri, nel primo de’ quali avesti quanto in le bene costumate famiglie siano e’ maggiori verso la gioventù desti e prudenti, e quanto a’ minori verso de’ vecchi sia debito e officio fare, e ancora trovasti quanta diligenza sia richiesta da’ padri e dalle madri in allevare e’ figliuoli e farli costumati e virtuosi. El secondo libro recitò quali cose s’avessero a considerare maritandosi, e narrò quanto allo essercizio de’ giovani s’apartenea. Persino a qui adunque abbiàn fatta la famiglia populosa e avviata a diventar fortunata; ora, perché la masserizia si dice essere utilissima a ben godere le ricchezze, in questo terzo libro troverrai descritto un padre di famiglia, el quale credo ti sarà non fastidioso leggere; ché sentirai lo stile suo nudo, simplice, e in quale tu possa comprendere ch’io volli provare quanto i’ potessi imitare quel greco dolcissimo e suavissimo scrittore Senofonte. Tu adunque, Francesco, perché sempre amasti me, sempre a te piacquero le cose mie, leggerai questo buon padre di famiglia, da cui vedrai come prima sé stessi e poi ciascuna sua cosa bene governi e conservi. E stimerai ch’io desidero non satisfare a’ meriti tuoi verso di me mandandoti questo libro quasi come pegno e segno della nostra amicizia, ma giudicherai me molto più a te rendermi obligato ove io dimanderò da te che tu duri fatica in emendarmi, acciò che noi lasciamo a’ detrattori tanto men materia di inculparci. Leggimi, Francesco mio suavissimo, e quanto fai amami.