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libro secondo 107

al congiugio perdere molto di sua libertà e licenza del vivere, e forse perché alcuna volta stanno quale e’ comici poeti gli sogliono fingere obbligati e convinti da qualche loro amata, o forse ancora non pochissimo pesa a’ giovani avere a reggere sé, e per questo reputano soperchio e odioso incarco convenirli sostenere sé e la donna e i figliuoli, e troppo dubitano non potere onesto satisfare a’ bisogni quali di dì in dì colla famiglia crescono, per questo stimano el letto domestico essere cosa troppo molesta, e fuggono il legittimo e onestissimo accrescere della famiglia. Per queste cagioni, acciò che la famiglia non caschi in quella parte quale dicemmo essere infelicissima, in solitudine, anzi cresca in gloria e felice numero di gioventù, si vuole indurre la gioventù a tôr moglie con ragioni, persuasioni, premi, e con ogni argomento, industria e arte. Potranno qui essere accommodatissime ragioni quelle nostre di sopra a biasimare loro l’altre lascive voluttà, per adurli in desiderio di cose onestissime. Potranno le persuasioni essere simili: monstrargli quanto sia dilettoso vivere in quella prima naturale compagnia del congiugio e riceverne figliuoli, e’ quali sieno come pegno e statici della benivolenza e amore congiugali e riposo di tutte le speranze e voluntà paterne. A chi sé arà affannato per acquistare ricchezze, potenze, principati, troppo a costui pesarà non avere doppo sé vero erede e conservadore del nome e memoria sua. A cui le sue virtù servino dignità e autorità, a cui le sue fatiche porgano utilità e frutto, niuno più a questo essere può accommodato ch’e’ veri e legittimi figliuoli. Agiugni qui che colui di chi rimangono simili eredi, costui non può in tutto riputare sé spento né mancato, però ch’e’ figliuoli serbano nella famiglia el luogo e la vera imagine del padre. Didone fenissa, poiché ’l suo Enea era da lei amante partito, fra’ suoi primi lamenti non altro sopra tutto desiderava se non come ella piangendo diceva: «Oh, pure un picchino Enea qui mi giucasse!» Così, meschina abandonata amante, nel viso, ne’ gesti d’un altro fanciullino Iulio a te sarebbe stato come lì primo veneno e fiamma dell’ardente e mortifero tuo riceuto