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di messer bertramo d'aquino | 47 |
d’abbassarsi a lui; e nella esuberante sua giovinezza
già serpeva un desiderio vago di consolazioni
nuove e di nuove gioie suscitate e acuite,
per lo spirito e per i sensi, dalla forza della passione
e dalla fatalità della colpa. Perché era fatale
che amasse Bertramo d’Aquino, se fino a quel
giorno inutilmente aveva voluto resistergli. Tutto
quel giorno pensò a lui; né si tosto fu di ritorno
a Napoli che si pose al balcone bramosa che egli,
come soleva, passasse di là a riguardarla; e con
suo conforto lo vide giungere all’ora usata. Ratteneva
il bizzarro puledro e per quetarlo gli palpava
il collo scorso da un tremito: salutò la
dama, la quale smorta e palpitante risalutò e
parve sorridere, e a lui s’allargò il cuore e chiarí
la faccia in subita allegrezza.
Cosí Bertramo fu pronto a scrivere una lettera a madonna Fiola scongiurandola di commuoversi a misericordia e di procurargli agio a parlarle; e n’ebbe risposta: a lei era grato l’amore di lui, ma per l’onor suo e del marito ella non poteva promettere e concedere cosa che le chiedesse. Riscrisse egli assicurandola che voleva