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196 | il polso |
e la voce spesso velata e mesta dicevan forse il
suo spirito smarrito dietro un’inafferrabile bene,
finché con uno sforzo mal nascosto di volontà non
le riuscisse di riaversi o mentire, e allora abbondava
di cachinni e di frizzi, cattiva a un tempo e
vezzosa; l’assiduo disturbo dell’emicrania, invece
che la simulazione d’un malanno alla moda poteva
essere la dissimulazione di un urgente rovello; gli
sdegni di lei contro lui non erano forse, come egli
aveva sempre creduto, modi di civetteria sagace,
ma piú tosto non rattenuti impeti di sfogo sincero;
e quelle carezzevoli occhiate, quelle occhiate lunghe
e sentimentali, neanche potevano essere tardi e
magri compensi alle fatiche della sua servitú, ma
tutt’al piú erano segni di compassione per lui in
una confessione oramai manifesta: “Il cuore l’ho,
oh se l’ho!; ma non per voi, povero conte!„
Or bene: il conte La Fratta non disse alla marchesa
Arnisio come Publio a Barce:
Se piú felice oggetto
Occupa il tuo pensiero,
Taci, non dirmi il vero.
Lasciami nell’error.