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la dama fallace. 177


Domitilla, la sera tardi, s’attenne alle norme che l’amante le aveva scritte; e don Alfonso, ricevutala da una scala nel giardino, non stentò a persuaderla che entrasse nella sua casa. — “Soggiogare il ribelle e, dopo, nel perdono, acconsentirgli„ aveva determinato a sé stessa Domitilla; ed entrando disse in tono ostile, súbito:

— Per voi io comprometto, questa sera, il mio onore. Del vostro amore quali prove avete date voi a me?

— Io vi amo — rispose don Alfonso.

La dama senza badargli continuava: — Voi m’avete fatta una proposta indegna, l’insensata minaccia d’impossessarvi di me con la violenza! Ma io non vi temo; v’ascolto. Che volete?

Già alle prime parole di lei cosí avversa nell’aspetto e nella voce il cavaliere aveva perduta la riflessione del disegno che s’era preparato in mente; e alle ultime lo turbò il dubbio che la dama nascondesse un’arma; onde, umile, le chiese:

— Vittoria, che cosa debbo fare io per voi?

— Nulla, se non potete soffrire e non sapete dominarvi!