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176 la dama fallace.


IV.

Certo che essa l’amava, senza piú titubare don Alfonso intese al fine del suo amore; e le ripulse della dama non lo frenavano, non l’intimidivano gli ostacoli; ed essa gli scriveva invano: “Vorrei, ma non posso„.

Egli un giorno, stanco, le scrisse cosí: — O la sera sarebbe venuta da lui, nel giardino, ad udire quel che aveva a dirle, od egli, alla prima buona circostanza, la porterebbe via a forza.

Domitilla, com’ebbe letto il biglietto, sorrise all’idea d’essere rapita di notte in una carrozza trascinata da due veloci cavalli e scortata da ceffi spaventosi; ma la ragione la distrasse dalle fantasie romanzesche, e poiché l’amante si ribellava, comandava, minacciava, il meglio era non badargli — se pure, a tirar troppo, la corda non si fosse rotta. No, meglio era andare da lui — se pure al convegno, per debolezza sua, non fosse seguito ciò che sarebbe seguito al rapimento. — Parcere subiectis et debellare superbos!