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d'un gentiluomo veneziano | 145 |
rere con alcuno di lei, a non mandarle ritratti
perché non voleva esser scoperta; come, non crudele
quale egli la chiamava, poteva dirgli in coscienza:
“Io vi amo, il che mi pare che non sia
male, nascendo dall’amore ogni buona operazione„, qual fallo mai avrebbe commesso concedendogli
di parlarle, dietro la porta di casa, una
sola volta?
Cosí, per quel primo onesto colloquio e per le lettere che Alvise le inviava ardentissime, doveva penetrare nell’animo di madonna una gran dolcezza d’amore puro, una gran compassione pe’l nobile giovane innamorato: e quando lo seppe infermo in villa, gli scrisse tutta amorosa che cercasse di venire a Venezia per rimettersi piú facilmente; e poi, piú tardi, gli si mostrava ammirata “dello splendore che senza pari ritrovava in lui„, e per lui pregava il Signore: anche accettava e gli mandava e gli chiedea dei piccoli doni.
Ma Alvise non viveva lieto, né la promessa di lei, che “se è vero che di là come di qua vi sia amore, e si ami, esso mio spirito in Cielo vi