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88 | disperazione |
che alla morte del corpo sarebbe conseguito all’anima sua.
Prese ad odiare sé stessa piú di chi l’aveva soggiogata. Ma non la paura della pena le era pena bastevole: non la vergogna, per cui avrebbe voluto nascondersi alle sue compagne e fuggire; non l’odio di sé, per cui avrebbe voluto distruggersi: non bastava. In ogni momento de’ suoi tristi giorni il pensiero del peccato commesso le cadeva su l’anima come la goccia su la pietra che incava; e il dolore, nel suo petto, diveniva come un peso che cresceva cresceva a soffocarla. Le sue labbra perdevano la voce e il cuore le veniva meno: immota, le mani bianche abbandonate sulle ginocchia, il viso squallido, gli occhi privi di lagrime e di luce, insensibile, l’ammiravano le compagne; n’ammiravano la perfezione dell’umiltà e della fede.
E non bastava. Ella doveva scorgere in sé tutto il male dell’anima sua, considerarlo senza piú rimedio e speranza alcuna di salute, senza tregua e senza pietà, in eterno: ella stessa doveva misurare, ella stessa, con sottile indagine, la propria