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96 | Adolfo Albertazzi |
III.
Fra’ Pasquale non tardò ad accorgersi del furto, sebbene avvenisse a intervalli lunghi; e di quando in quando, nel tempo che aveva libero, stette in agguato dietro la porticina della cella.
Ed ecco, un pomeriggio, vide entrar l’asta per l’inferriata e contemporaneamente udì una voce che diceva:
— San Franceschino mio, son qui! Ho voglia d’un bicchier di vin buono. Voi badate a fra’ Pasquale.
Chi era il ladro! Lui, Mattucco, rubava! Povero mendico! E chi gli aveva insegnato il tiro? O forse la sete del vino gli aveva aguzzato l’ingegno? A ogni modo la scoperta fe’ sbollir subito l’ira al francescano; gli mise la voglia di seguitare il gioco per divertirsi. E pronto, in tono soave, senza mostrarsi, fece:
— Ah Mattucco! Mattucco! Io sono il tuo protettore, il tuo San Franceschino, e tu mi rubi le elemosine? Credi proprio che all’inferno ci si stia bene?
A queste parole lo scemo rimase stupito. Stupito, non spaventato. Non sbigottisce al portento: San Francesco ha parlato? La cosa più naturale del mondo! Ma gli è incredibile quel che ha udito, da lui.