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94 Adolfo Albertazzi


persone vere e umane nel sacro aspetto, e l’ombra inclusa nel portico e l’interna penombra della stanza accrescevano il senso del dramma arcano, qualche cuore rimaneva preso e compunto. Alle preghiere seguivano le offerte.

Raccogliendo queste a intervalli, fra’ Pasquale, portinaio e sagrestano, lasciava tuttavia alcuni soldi in terra esempio e invito ad altra elemosina; e così la carità del Signor morto e di San Francesco rendeva abbastanza bene.

Or avvenne che lo scemo si destò un giorno dal solito riposo mentre due monellacci osservavano dentro la cella, e dicevano tra loro:

— A un’asta impegolata in cima, i soldi s’attaccherebbero.

— E i frati? E fra’ Pasquale?

— Hai ragione. Meglio starne alla larga, da quell’accidente!

Temevano il bastone dei frati, non il sacrilegio, i gaglioffi! E se n’andarono. Lo scemo, però, aveva capito. Canaglie, che idea! Rubare a San Francesco! i soldini di San Francesco! — E stette là, immoto, come immersa l’anima in un pensiero profondo. Pensava con faticosa connessione d’idee:

— Elemosine. — A chi vanno? Chi se le gode?

— Soldini e... bicchierini: soldini e pane.

Poi Mattucco guardò alla statua del santo quasi si aspettasse di vederla turbata. Ma no: non aveva perduta l’abituale bonomia: anzi sembrava che il dolce soniso s’effondesse vieppiù dagli occhi per le guancia.