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80 Adolfo Albertazzi


e susini promettevano — se non sopravvenisse una nebbia o un’aria fredda — quindici o sedici susine e pere.

— Ma niente ciliege quest’anno! — lamentò il signor Astolfo. E sospirando avvertì che le fatiche, le cure, le pene del coltivare gravavano tutte su di lui. I contadini avevano ben altro da fare, ora che le braccia mancavano!

— Tutto io!

La natura maligna insidia essa stessa ogni suo bene, col malume, con la peronospora, con la ruggine, coi bigatti, con i gorgoglioni, i pidocchi, le formiche, le forfecchie, le lumache, le arvicole, le talpe. Ma lui combatteva senza paura: pompa e soffietto, solfato di rame e tabacco, fosforo e trappole. Guerra in veste da camera e berretto da ciclista!

E venne la volta del giardino: vari i gerani; belle le rose; odorosi anche troppo i nasturzi.

— Brava! Bravo! — ripeteva il genero sorridendo. Pensava: «Non sono forse felici questi due vecchietti, che hanno saputo impiccolire così la loro esistenza, mitigare in tal modo il loro egoismo?». E quasi gli doleva d’esser venuto a turbarne la pace e a rinnovar in loro, con la sua presenza, il ricordo dell’unica figlia perduta dieci anni addietro.

— Bravo te! — mormorò la suocera tirando fuori a stento il te e accompagnandolo da un sospirone.