Pagina:Albertazzi - Top, 1922.djvu/56

54 Adolfo Albertazzi


primi giorni, si toccava appena la falda del cappello, senza dir nulla; di poi, disse, senz’altro complimento:

— La saluto, maestrina.

D’una volgarità stupida nei brevi discorsi, i suoi motti tendevano sempre ad allusioni sensuali. E avvolgeva Elena d’occhiate lunghe e fredde, da mercante speculatore e da buongustaio mutevole.

Non li temeva essa, quegli occhi; l’assicurava la superiorità dell’intelletto e dell’animo.

La turbavano, al contrario, le occhiate della madre. Quella vecchia espansiva e gioconda con tutti gli altri, aveva mutato aspetto con lei; non dissimulava nello sguardo come una preoccupazione continua, una segreta diffidenza, un’antipatia a stento repressa. Perchè? Elena sdegnava interrogarla.

Il disgusto però le crebbe quando s’avvide che quella osservazione ostile la seguiva anche fuori di casa, da altri; fuori, divenne anzi sgarberia manifesta, dispettosa insolenza. La ragazza della bottegaia l’aspettava su la soglia della bottega per voltarle, vicina, le spalle; la moglie del medico condotto o fingeva di non vederla o rispondeva al saluto chinando appena il capo e fuggendo; la sorella del sarto sorrideva con ironia maldestra; l’ostessa... Che avevano, insomma, coloro? Che aveva fatto, lei, a quelle donne?

Quando potè saperlo, rise. Ingenuamente la madre di una scolaretta le disse un giorno: