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48 Adolfo Albertazzi


il viaggio per non attraversare il fiume a guado, al solito? No: il fiume non dava segno di cresciuta, nè io potevo immaginarmi che in montagna alta ci fosse stata intemperie. Senza sospetto di quel che stava per succedere calai dunque dalla riva, per la carraia che lei vede là dirimpetto. E il cavallo, tranquillissimo, taglia il primo raggio d’acqua; passa la secca; rimette le gambe nella corrente più larga; tranquillo tranquillo avanza fino a metà e... si ferma.

Lei dice: — un capogiro. Ma col capogiro i cavalli, nel fiume, mi si eran sempre mostrati diversi. Dubitano un poco e basta eccitarli un poco. E lui. Baio, eccitato con la voce, non si mosse.

Non giovando nè le parole nè lo scuotergli addosso le redini, lo tentai con la frusta. Niente. Nessun dubbio più: era restio! Io sapevo anche allora che il restio è quasi una paralisi che dura dieci minuti, un quarto, fin mezzora. Bisognava pazientare, attendere. Ma la mia donna di qui, dalla bottega, mi vide col biroccino fermo in mezzo all’acqua e cominciò a gridare: — Presto, Cenzo, che non arrivi la fiumana! — E i ragazzi: — La fiumana, babbo! — Mi diedi a frustare, prima senz’ira, poi senza misericordia: sopra, sotto, nelle gambe, nel collo, nella testa; la pelle s’enfiava a cordoni. E niente, come se battessi lei, che non c’era. E gli urli della donna e dei ragazzi diventarono più acuti. — Si sente la romba! Scappa, Cenzo, per amor di Dio! — La fiumana, babbo! la fiumana!