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44 | Adolfo Albertazzi |
tra stanga — e, nossignori, non cede; piuttosto che cedere l’asino va inesorabilmente nel fosso di sinistra col biroccino e chi c’è sopra. Perchè? Forse per amor proprio? punto di onore? dignità personale? In tal caso bisognerebbe supporre a questa ostinazione, a cocciutaggine così pericolosa, un ragionamento degno d’un uomo di carattere quale ce n’è pochi, specie al giorno d’oggi. — Ah tu che mi sfrutti mi hai dunque attaccato al biroccino non per bisogno, ma — poichè vuoi tornar indietro — solo con l’intenzione di farmi faticare e di bussarmi? Ebbene, no! neanche se io debba tornare alla dolce stalla, io non volto! Preferisco pungermi alla siepe, rompermi una gamba, fiaccarmi l’osso del collo nel baratro. Non volto: no, no e no!
E che tale o simile ragionamento non fosse da escludere lo dimostrerebbe un fatto: che laggiù, quando sia rimasto in piedi o risorga, l’asino si mette subito a brucar l’erba della sponda. L’ostinazione cieca non gli permetterebbe di vederla, l’erba: la stizza invece, che nelle persone intelligenti non toglie il lume degli occhi e passa presto — appena hanno avuto sodisfazione — , gli lascia dire tra sè: — Adesso che l’ho vinta io, sono contento. Mangiamo!
Ma quand’anche questa presunzione intellettiva nei ciuchi fosse esagerata, l’ostinazione loro sarebbe sempre più agevole da intendere, psicologicamente, che l’ostinazione dei cavalli.