Pagina:Albertazzi - Top, 1922.djvu/242

240 Adolfo Albertazzi


che l’aveva fatto e non ne pensassero male (pur troppo la fragilità umana...). E il Signore nel chiamarlo a sè non gli lasciò tempo di avvisare lei o me o altri del luogo ove aveva riposto il documento.

«Riposto»? Potere di una parola! La vedova a udirla ebbe un lampo di chiaroveggenza in un istantaneo risveglio della memoria. Ricordò la cassapanca secentesca ai piedi del letto nuziale e la cassettina che v’era dentro, antica anch’essa, in forma di bauletto o di cofano.

Balzò in piedi esclamando:

— È nel cofano dentro la cassapanca del seicento!

Il sacerdote la trattenne con dolcezza nell’atto e nella voce.

— Aspetti, signora. O il testamento si trova dove lei dice, o non vi si trova. Se non si trova neppur lì io mi credo in obbligo di dichiarare oggi stesso, con le cautele consigliate, anzi imposte dalla legge, quali erano le intenzioni del mio amico. Per questo ho pregato i membri della Giunta di rimanere. E se il testamento si trova, non le par bene che sia aperto da mano di notaio? Non le par conveniente mandare prima di tutto per il dottor Tibaldi?

La signora annuì. Un servo fu mandato per il dottor Tibaldi. Quindi essa, la vedova, portò nella camera da desinare e vi depose su la tavola il cofano avito. Era chiuso. Ne mancava la piccola chiave.