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210 | Adolfo Albertazzi |
raccoglierle fiori e mentastro, come quando eravamo bambini.
Intanto lei cuciva e discorreva.
— Che paradiso, qui! Ci starei da mattina a sera!
Indi, col tono di chi dice la cosa più semplice, più naturale, più innocente del mondo:
— Che brividi di delizia in quest’acqua così fresca, all’ombra! Ci fo il bagno ogni giorno.
Io ebbi un senso di disgusto, quasi di panico. E dissi:
— Se qualcuno ti vede?
— A mezzodì, quando tutti sono a desinare? Chi temi che ci venga quaggiù?
Fui per gridarle: — Non voglio! — ; se non che sapevo che per piegarla al mio volere non era quello il modo. E tacqui. Un silenzio — speravo — ammonitore.
Tacere quando avevamo tante cose da dirci!
— Ah! — esclamò lei d’improvviso. — Mi dimenticavo di darti una brutta nuova, Paolone sta male. È a letto da tre giorni con una polmonite.
E Lamandini?
Indovinò la mia dimanda.
— Isidoro se ne andrà alla caduta delle foglie. Tisi senile.
***
Il giorno dopo andammo a trovar Paolo Querzè.
Era infuocato dalla febbre e di tratto in tratto