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Il cane dello zio Prospero 19


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La separazione non dispiacque neanche alla cognata.

Non che Prospero le avesse mai dato soverchio disturbo; sempre però l’avevan tenuta in un certo disagio quel suo carattere scontroso e quelle sue abitudini di misantropo, e da un pezzo in qua egli la seccava con le osservazioni a ogni spesa che si faceva per l’Elena. — Ah ah! vestito nuovo; scarpine nuove! oro! gioielli! Durerà? — Dispiacere, e più che dispiacere, provò invece l’Elena. Come ad accorgersi di Top senza collare pensò che lo zio aveva scoperto la marachella, all’avvenimento che seguì pensò che lo zio era impermalito con lei; e dubitò d’averlo contrario nelle sue speranze. Avrebbe voluto impietosirlo dicendogli: — Io le sono tanto affezionata! sia buono! —, o magari provocarne lo sdegno dicendogli: — Che cosa le ho fatto, io? —; purchè parlasse! Il silenzio di lui l’atterriva. Ma non osava andar a trovarlo nel camerone; affrontarlo. Finchè ebbe un’idea. Dall’uscio che dal camerone metteva nella stanza da desinare la madre aveva tolta la grossa chiave. Elena s’avvide che per il buco della toppa passava una spera di luce. Allora si chinò, guardò, scorse le gambe dello zio andare e venire. Benissimo! E colto il momento che nessuno poteva udirla, fece, a voce bassa:

— Zio! zio!