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La casta Susanna 207

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I nostri prediletti amici erano due uomini attempati: Isidoro Lamandini, il vignarolo; e Paolo Querzè, il falegname, che aveva la bottega su la strada maestra.

Il primo, di solito in giacca alla cacciatora e lo schioppo a tracolla, c’incuteva un rispetto affettuoso perchè, forte e temuto, a noi si dimostrava servizievole e carezzevole. Possedeva un’arte meravigliosa. Balzava vestito nei borroni della Landa e, intorpidata l’acqua, acchiappava i pesci con la disinvoltura d’uno che cogliesse cose inerti, e ce li gettava splendidi e boccheggianti su l’erba.

Il secondo — Paolone — sapeva tagliar il vetro di lato col diamante, e preparar vernici di ogni colore, e raccontarci lunghe storie che s’inventava lui spacciandole come vere. Quando non aveva voglia di fole, cantava, a squarciagola, del brigante Mastrilli e di «Erminia fra l’ombrose piante». Ma il divertimento più grande quei due ce lo davano a contendere per scherzo fra loro. Se ne dicevan di cotte e di crude; se ne facevan di tutte le sorta. Non di rado Paolone restava senza pialla e Isidoro senza schioppo, e spendevan ore e ore a cercar quella o questo minacciandosi di legnate e finendo all’osteria a bere un litro.

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A sedici anni Adriana era una ragazza come ce ne sono tante, se cresciute fuor del mondo. Timida