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Zvanòn | 203 |
di polvere di mattone e di pane ammollito ed essiccato, che stecchi contenevano saldo.
E avvenne che guardando entro la scatola ci leggemmo scritto nel fondo, a tinta più rossa (sangue?): — per Dolfo. — Allora guardammo nel fondo esterno del cestello e dell’anfora, e ci vedemmo le stesse rosse parole: — per Dolfo.
***
Scontati soli cinque anni di pena Zvanòn moriva, a Portolongone.
Io ero sui dodici anni. Non temevo più. E rivelai finalmente perchè Zvanòn fu omicida. Allora si comprese chiaramente come, non giuocatore, egli avesse attirato l’altro, che era scarso a quattrini, a giuocar di molto: per conseguire un pretesto da finir la tresca in un litigio.
E a me dissero:
— Facesti male a tacere. Parlando avresti mitigata la pena di quel disgraziato; non sarebbe forse morto in carcere.
Ma anche adesso non so persuadermi che feci male. Zvanòn al disonore della sua famiglia preferì Portolongone.
E col pane del suo nutrimento componeva le cose che rammentassero a chi lo aveva aiutato a salvar l’onore dei suoi, la sua gratitudine, l’affetto imperituro, l’anima sua. Per Dolfo.