Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Zvanòn | 201 |
Se io svelassi il mio segreto non metterebbero in prigione anche me: me che avevo la mia mamma sempre malata, e non potevo darle tanto dolore, e non potevo abbandonarla senza che io morissi? No, non dovevo dirglielo il mio segreto, dirle la paura che mi occupava tremenda, senza che lei patisse della mia stessa paura. In prigione il suo figliuolo, compagno di un assassino!
Con tutti dovevo tacere. Con tutti!
Ma quel segreto era troppo più grande di me.
A scuola, chinavo improvvisamente il capo sul banco e piangevo.
— Perchè piangi? — mi domandavano i compagni, il maestro.
Rispondevo:
— Non lo so.
E mi canzonavano perchè piangevo senza sapere il perchè.
***
Al processo Zvanòn ripetè quel che aveva detto a mio padre il dì che era venuto per consiglio, e quel che aveva detto al procuratore del Re e a tutti.
In litigio, acciecato dall’ira, aveva colpito, senza intenzione di uccidere. Voleva essere pagato del debito; dei cinquanta franchi vinti al giuoco.
Alla dimanda se fra lui e Tito del Mulinetto fossero stati precedenti rancori o ci fossero altre cause di rancore, rispose: — No.