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194 | Adolfo Albertazzi |
persona; un’imagine di luce nella oscura casa campestre, tra la reggitora vecchia cadente, la cognata oppressa dalle faccende famigliari, gli uomini rozzi. E nel campo, tra il verde...: così: la scorgo, la Gisa, venir dal rio per la costa recando sul capo il cesto della biancheria lavata e tenendolo con le braccia nude; la gonna rossa sostenuta da un lato, alla cintola, per aver libero il passo, e una gamba fin quasi a mezzo scoperta; i capelli biondi scomposti, e il sole che pareva tutto per lei.
Quanto tempo era trascorso dal dì delle sue nozze a quello che lei s’impresse così vivamente nella mia memoria puerile?
Forse non più di un anno.
***
Quel giorno avevo ottenuto il permesso d’andar con la Gisa al rio. Lavando, cantava ad alta voce; ma nessuno udendola avrebbe dubitato cantasse a voce tant’alta per essere udita lontano — era lieta, era bella — ; nè a me bastava l’età della discrezione, a cui ero appena giunto, per concepire tal dubbio allorchè, con un rumore di frondi rimosse a un impeto, vidi arrivar Tito: Tito del Mulinetto, che veniva qualche volta alla villa a giuocare alle bocce coi contadini.
Egli si adagiò su la riva mentre la donna sciacquava, in ginocchio su la pietra, e io, al solito, lavoravo a scavar nella sabbia.