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ZVANÒN

Lo rivedo ancora bene — Svanòn — nella penombra della memoria: alto, massiccio, imponente quale un gigante a me bambino, e strano per gli occhi chiari cilestri in contrasto con il viso bruno e i baffi e i capelli neri. E ne ho precise in mente le parole, perspicue le attitudini di quando la mia anima e la sua ebbero dalla sorte una vicendevole tragica apprensione. Ma poco o nulla io ricordo dei suoi modi con gli altri; non so se agli altri apparisse temibile come a me, eppur buono; se con gli altri ridesse come con me quasi cedendo a una giocondità improvvisa; se la dolcezza del suo sguardo fosse turbata spesso, non fosse più di un fuggevole consenso alla debolezza e alla letizia delle piccole creature.

Era, nella famiglia patriarcale, il secondo o terzogenito. Dei cinque fratelli solo il più attempato aveva donna, con parecchi figliuoli giovani già fatti, allorchè s’ammogliò il quintogenito, di cui non rammento neppure il nome. Più che il nome — Adalgisa — rammento invece della novella sposa: il sorriso che pareva splendere da tutta la sua