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Il cane dello zio Prospero 17


III.

Se, poco oltre mezzodì, lo zio Prospero non sedeva a tavola ad aspettar il fratello, la cognata avvertiva la domestica o l’Elena: — chiamate il cane! — ; e se il cane non arrivava, eran certe che lo zio desinerebbe in campagna e rincaserebbe solo la sera. Quel giorno dunque si meravigliarono a veder il cane e a non veder lui. In ritardo? Non tardava mai. Invitato da qualche amico? Non aveva amici che lo invitassero a pranzo, e quando ne avesse avuti, non ci sarebbe andato. Cos’era successo? L’Elena stentava a dissimulare l’angustia. Ma per fortuna nessuno, all’infuori di lei, si accorse che a Top mancava il collare; e, per fortuna maggiore, suo padre — nonostante il fiero aspetto — era l’uomo più pacifico di questo mondo. Egli si limitò a dire:

— Chi non mangia, ha mangiato.

Non sospettava di nulla. E non si meravigliava di nulla, Adelmo Marzioli! La spiegazione della strana assenza l’avrebbero, prima o poi: inutile preoccuparsene.

Egli, infatti, l’ebbe prima di averci ripensato: due ore dopo mezzogiorno, alla Congregazione di carità ov’era segretario.

Prospero gli comparve dinanzi con gli occhi semichiusi sotto le ciglia folte e lunghe, in un’attitudine quasi violenta per lo sforzo della volontà.


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