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184 Adolfo Albertazzi


ride. C’è uno il quale ride con tale impeto che deve udirsi anche nella camera più recondita della casa...

Lo so! lo so! La Morte, nel suo transito fatale e perenne, guarda a questa casa di buona gente. — Tutto mio, tutto mio — canta da presso la civetta.

Ma: — Non ci badi — mi dice il reggitore. — È il suo verso.


25 luglio.

Effetto d’assuefazione: il ricordo dell’inferma, ridestato in me dal quotidiano apparir del medico, non mi dava più che una tenuissima noia. Non c’è beatitudine perfetta; e Reno, per esempio, non manca di pulci.

Se non che la paesana che mi serve da cuoca ha vinto finalmente la soggezione, ha sciolta la lingua e mi ha avvelenata la colazione, stamattina.

— Sa? — mi ha detto. — L’ho vista...

— Chi?

— L’ammalata.

— Ebbene?

— Vedesse com’è ridotta! Era una bella donnona, ma adesso... Patisce pene d’inferno. Eppoi, ha una paura...

— Paura di che?

— Teme dar disturbo a lei. Quando si lamenta, per il male, si sforza perchè lei non senta...