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168 Adolfo Albertazzi


vero, rispose ai dileggi con tutta la voce che aveva, con voce di pianto: — Mi fate morire! — E disparve.

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Ogni giorno dopo desinare la compagnia veniva là all’ombra dei tigli fuori Porta Montana a passar l’ora del riposo, o, come dicono in paese, l’ora di Sant’Agostino. Leggevano il giornale; conversavano; disputavano, se non di teologia, di politica, scienze ed arti, sdraiati su l’erba: Silvio il sarto: Colamosto il calzolaio; Pannocchia il sepsale; Volturno Schiza, che sapeva di ogni mestiere e d’ogni cosa, e qualche ozioso di buon umore. Con la cesta delle paste dolci e delle mosche — perchè il velo che avrebbe dovuto proteggere quelle da queste era tutto buchi e le mosche passandovi entravano a deliziarsi senza farsi scorgere — ci veniva anche Grappanera; smorto; quasi terreo; i baffi grigi spioventi; il berretto da ciclista sulle ventitrè. Talvolta recava il liquore di sua privativa, squisito e benefico nelle digestioni difficili; ma egli tornava gradevole più spesso con invenzioni d’altro genere. Perchè Grappanera non diceva mai bugie; solo che le verità che diceva, se le inventava lui. I fiori, le fronde, i frutti della sua fantasia portentosa avevano sempre un fondo di realtà o di ragione; le storie che narrava, le avesse concepite ascoltando da altri fatti o cose lontanamente consimili, o risultassero da sparsi ele-