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166 | Adolfo Albertazzi |
— Ci vado anch’io alla funzione, quel giorno. Carmelo è mio cugino.
E un altro:
— Lo inviteremo qui per la festa d’agosto. Berremo! Bravo, Carmelo!
Grappanera aveva ascoltato zitto e cheto attendendo che ammirazioni e commenti gli consentissero di parlare. Allora, al punto buono, battè la pipetta su la costa del paracarro per vuotarla della cenere; la riempì; accese uno zolfanello e mentre lo zolfanello ardeva, egli, fra sonore aspirazioni, cominciò:
— Quand’ero giovine, a Verona... in una osteria..., che litigavano...
— Non dirla troppo grossa! — l’esortava Pannocchia, piano, in confidenza.
Senza badare alle facce beffarde della compagnia, con l’usata naturalezza e semplicità, con quella sua aria di modestia, Grappanera seguitò:
— ...io ne presi tre per il petto, in una volta.
Era andata; e non era più possibile nè ritirarla nè mutarla.
Oh! uh! Parve fosse scoppiata una bomba che avesse la virtù li far ridere l’universo.
— Bum!... Fanfarone!... Spaccone!... — : tale l’ammirazione che il povero Grappanera suscitava per sè. Acceso dall’ira nella faccia patita, egli tuttavia si sforzò a contenersi; a ingoiare. Il medico gliel’aveva cantata chiara da un pezzo: