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14 Adolfo Albertazzi


Ebbene: c’era da meravigliarsene tanto? Diciott’anni; ormai diciannove; e una bella ragazza. Molto bella! Due occhi di una dolcezza ineffabile; un sorriso di anima pura; i capelli biondi...

«Ah quando tu, zio, le dicevi: — perchè ti pettini così? — e lei diceva: — perchè è di moda — , e tu ribattevi: — non mi piaci — , tu mentivi: avresti voluto che nessuno la vedesse pettinata alla moda, i biondi capelli spartiti su la fronte bianca e serena. E quando, vestita di nuovo, la mortificavi: — questa tinta non ti si confà; stai male — , tu ingelosivi dell’ammirazione che susciterebbe. E quando la sorprendevi nell’atto di specchiarsi e l’accusavi di vanità, e lei, timida, arrossiva quasi colta in fallo, tu dubitavi fin d’allora che verrebbe il giorno in cui, specchiandosi, essa non penserebbe solo a sè, penserebbe a chi non sarebbe certo suo zio».

Dalla voce che gli parlava dentro in tal modo il signor Prospero derivò argomento a darsi, per minor rimprovero, dell’imbecille.

«Timida? Imbecille! È timidezza l’amoreggiare e ricorrere a sotterfugi? valersi di strattagemmi piuttosto che confidare nel senno dello zio, se non della madre o del padre?».

Ma l’intima voce opponeva: «Che sai tu, vissuto fuori del mondo, delle audacie a cui una ragazza, appunto perchè timida, appunto perchè ha soggezione dei suoi e dello zio, può essere indotta