Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
La passione d’un gentiluomo veneziano | 149 |
burlino, non patirò mai. Se gli avete cari, fate che mi lascino stare e che si contentino di godervi».
Troppo a basso era caduto: un impeto d’ira contro l’amante di lei, se non contro la donna, se non contro se stesso, non avrebbe potuto scuoterlo e sollevarlo? A vedere madonna Vittoria alla finestra, con la faccia ridente, e Fortunio sotto, che le rispondeva, «spinto da furor geloso» e attaccata questione, ferì il drudo...
Ma dopo scongiurò Vittoria che gli perdonasse!
Atterrita, essa rispose: «Il solo rispetto mio doveva por freno ad ogni vostra voglia, nè amandomi doveva aver maggior forza lo sdegno che l’amore; ma poi che le cose passate non hanno rimedio e che mi chiedete perdono, io ve ne faccio grazia...».
E, per convincerlo, gli mandò copia della lettera con cui diceva addio a Fortunio. Gli diceva:
«M’abbandonai ad amarvi vinta da certe qualità che mi pareva di scorgere in voi» .
Le pareva! Le qualità di quell’uomo le parevan amabili dopo che l’aveva saputo delatore, sicario, vigliacco! Che menzogna! Che infamia! Spudorata. Abietta.
E allora, ma solo allora, Alvise Pasqualigo aprì gli occhi. Non comprese che se lei era giunta a tal segno, la prima colpa ricadeva su lui stesso;