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136 Adolfo Albertazzi


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Cesario Prisco aveva afferrato e preso in braccio il figlio più piccolo, e tratto per mano l’altro, era stato dei primi a scendere. Ma allo sbocco del secondo ordine dovè arrestarsi, ritrarsi nel ripiano, appoggiarsi al balteo per non precipitare; per non perire, lui e i figli, sotto i fuggitivi che l’addossavano. E quelli che scendevano incontravano altri manigoldi che salivano. Cadevano morti. Egli, di là, quasi appartato per un miracoloso consiglio, col bambino che piangeva in braccio, con l’altro che gli stringeva un ginocchio e piangeva, vide i morti ostruir la scala, gli uccisori travalicarli. Poi vide che due, con la rabbia della belva che scopre la preda nascosta, gli muovevano contro: non mercenari: un decurione, erano, e un vecchio legionario.

Fece in tempo a deporre il bambino, a trar le monete d’oro, a tendere le pugna piene, a scongiurare:

— Salvateli! Ammazzate solo me, Cesario Prisco! Quel che possiedo per la vita dei miei figliuoli! Salvateli!

Il legionario carpì la manciata d’oro. Il decurione parve commuoversi. Un istante. Che istante!

Ma scosse il capo e disse:

— Tutte e due, no!

E il legionario: