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134 Adolfo Albertazzi


brassero mutar norma al galoppo: superava secondo, subito dopo la veneta, il compimento del secondo giro. Quand’ecco un giocoliere gli gettò incontro un cesto: le ruote non lo toccarono. Un altro gettò un’anfora: evitata. L’auriga ancor primo si rivolse per colpire con la sferza agli occhi i cavalli che già aveva al fianco, ma Libanio evitò il tradimento facendo di nuovo scartare i suoi cavalli. E questa volta oltrepassava primo le mete.

— Libanio! Libanio! — Tutti gli spettatori, in piedi, plaudivano; più alte, deliranti, si levavano le acclamazioni dalla fazione prasina.

Se non che al quarto giro questa ebbe assai da temere. L’albata l’accostava; le era alle ruote. E le scommesse raddoppiavano di foga.

Cesario Prisco, sicuro di vincere, guardò sorridendo ai suoi figliuoli, ed essi parvero sentirne lo sguardo.

— Padre! — gli gridò Lucilio. — Io sto con te; per l’albata! — Ma Valentino pieno di ardire, adesso, felice, battè le mani e avverti tutto il circo:

— Io sto per Libanio!

V.

Repentinamente, enorme, un clamore di barbari all’assalto entrò dalle porte, sorse per le scale, proruppe. I mercenari! Con le spade, le lance, i pugnali, là dentro, a colpire urlando. Urlando al-