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Valentino e Lucilio | 129 |
nica fosse perdonata come già Antiochia. I mercenari testè venuti aumenterebbero le milizie di Boterico solo per resistere ai barbari.
Nessun sospetto. C’era anzi nell’animo popolare quell’aperto consenso di fiducia e di gioia a cui sopra tutto pareva attendere Teodosio trionfatore, Teodosio il Grande.
Furono riprese le feste. E mai corse annunciate nel circo suscitarono tanta aspettazione. Appena i «russati» o rossi e i «veneti» o azzurri avevan saputo che la fazione «albata» o bianca lancerebbe quattro cavalli degli allevamenti di Cappadocia, avevano affrettate richieste a Costantinopoli. Giunsero, per loro, fin poledri di razza araba, dall’Asia Minore. Ma la fazione verde o «prasina» non cercò mutamenti di corridori e di auriga: le bastavano i suoi cavalli armeni, le bastava Libanio.
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Quanta gente, il gran giorno, per la strada che conduceva al circo! Che frequenza di vetture, fossero rede tirate da cavalli o carruche tirate da mule, con sopra ricchi e patrizi e matrone! In carrozza andò anche Cesario Prisco, il ricco mercante di gioielli, con i suoi figliuoli.
Pienamente felici, quei due. Il minore, che non era mai stato al circo, volgeva le più curiose domande, alle quali l’altro rispondeva con ciò che sapeva di propria scienza e esperienza e con