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120 Adolfo Albertazzi


Il vecchio l’afferrò. Mentre la leggeva lei si aspettava che cadesse morto di colpo: leggeva: «...sposandola, signorina, io avrei offesa l’opinione pubblica; si sarebbe detto che la sposavo per godere i marenghi del Passatore».

Invece il nonno gettò il foglio e rise.

— Ah, ah! E tu la conosci tutta, la storia? Non la conosci bene? No? — Essa non rispondeva. — Te la racconterò io! A Belpoggio, proprio dove ho fabbricato la villa per te, per la tua felicità, c’era una casupola mezza in rovina; e io l’avevo affittata a un manutengolo o a un collega del Passatore. Dopo che questo fu ammazzato, colui fu preso e condannato non so a quanti anni di galera. E di là scriveva alla moglie, che non sapeva leggere e veniva da me a farsi leggere le scritture del marito. Ma io, furbo, le leggevo prima per conto mio. E una volta vidi che il ladro raccomandava alla moglie di non abbandonar mai la casa ove stava. Io, zitto!; e diedi subito commiato alla donna. E mi misi a scavare. Scavai una, dieci, cento pentole piene di marenghi rubati dal Passatore, e così... Hai inteso?

— Gl’invidiosi, gli oziosi, gli ignoranti, i maligni, i vigliacchi — seguitò l’Antoni, di nuovo sopraffatto, nell’ironia, dall’ira — non comprendevano, non comprendono la origine di una ricchezza acquistata con le fatiche, con gli studi, l’ingegno, la forza della volontà e dei nervi, e m’han dato, a me, per collega il demonio, e hanno inven-